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Da Gianluca Susta (*)
La posta elettronica dei Parlamentari europei, nelle ultime due settimane, è stata invasa da una mobilitazione del “popolo del web” contro il Trattato internazionale ACTA che, a loro dire, violerebbe fondamentali diritti civili legati all’accesso alla rete.
Che cos’è ACTA?
“ACTA” (acronimo di Accordo commerciale Anticontraffazione) è un accordo commerciale internazionale negoziato dall’Unione Europea e da altri 10 Paesi (Stati Uniti, Canada, Messico, Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, Marocco, Singapore, Svizzera) che intende proteggere i diritti di proprietà intellettuale (copyright, marchi, brevetti…ma anche indicazioni geografiche), mediante l’istituzione di misure e strumenti che garantiscano il rispetto di tali diritti, anche sulla base di sanzioni civili e penali.
ACTA nasce, dunque, da un bisogno vero, quello di tutelare la proprietà intellettuale e la produzione industriale di qualità, su cui si fonda la nostra industria manifatturiera, e con un intento positivo, quello di combattere in modo più efficace un fenomeno criminale che sta mettendo alle corde la competitività europea e quella di Paesi che subiscono la concorrenza sleale di Paesi emergenti, Cina su tutti.
Inoltre, quando si parla di contraffazione, non dobbiamo solo pensare a magliette, borsette, profumi o orologi falsificati, ma anche a farmaci, sistemi di sicurezza, apparecchiature elettroniche che incidono nella nostra vita personale e lavorativa quotidiana in maniera importante (ancora qualche giorno fa in Pakistan decine di persone sono morte per un farmaco contraffatto e sono infiniti gli esempi di apparecchiature i cui sistemi di sicurezza contraffatti hanno provocato incidenti gravi).
Per queste ragioni l’UE ha partecipato al negoziato fin dal 2007 e il Consiglio ha dato il suo via libera alla firma dell’accordo nel mese di dicembre. Adesso il Parlamento Europeo e i Parlamenti nazionali (visto che si tratta di un accordo “misto”, vale a dire che riguarda competenze trasferite all’Unione Europea e altre rimaste in capo agli Stati membri) dovranno esprimersi sulla ratifica.
Purtroppo, nonostante i ripetuti inviti del Parlamento Europeo (tra cui una risoluzione del dicembre 2008 di cui io fui relatore), il Trattato estende la sua competenza non solo alla contraffazione, ma anche sulla pirateria on line, rafforzando un sistema di controlli e sanzioni che, a giudizio di molti (il “popolo del web”, ma anche chi, come me crede che un rafforzamento della tutela della proprietà intellettuale e industriale sia necessario), appare contrario ai principi di libertà di accesso alle informazioni che alla base della rivoluzione tecnologica e comunicativa che stiamo vivendo.
Da qui il dibattito incandescente che coinvolge la “blogosfera” in cui, peraltro, si son lette cose assolutamente infondate (tipo il rischio di sequestro alla frontiera di un Ipod su cui siano state scaricate canzonette) che non aiutano, come tutte le esagerazioni, un sereno, ancorché severo, dibattito parlamentare.
I punti più criticati, quindi, sono quelli relativi all’impatto delle disposizioni riguardanti l’esecuzione dei diritti di proprietà intellettuale nell’ambiente digitale, sulla compatibilità di ACTA con l’acquis comunitario e con le libertà civili e i diritti dei consumatori, sull’impatto di ACTA sulla distribuzione ed il libero commercio di farmaci generici…
L’errore di chi ha voluto “mischiare” lotta alla contraffazione e alla pirateria online, quasi che fossero la stessa cosa, è di tutta evidenza e già questo sarebbe sufficiente per dire di no al Trattato.
Per contro non si può, da un lato, invocare nuove forme di “governance mondiale” e dall’altro opporsi a ogni iniziativa tendente a disciplinare, su scala planetaria, fenomeni che sono, appunto, planetari.
La soluzione del dilemma sta però nel non perdere di vista la dimensione “istituzionale” che questa vicenda porta dietro di sè.
Il Parlamento europeo sarà chiamato a valutare ed esprimersi su ACTA nei prossimi mesi, in un iter lungo e articolato che, prima di approdare in aula, vedrà coinvolte più commissioni parlamentari, anche se competente sul voto finale, prima di approdare in Aula, sarà la commissione commercio internazionale di cui faccio parte.
Purtroppo, il Parlamento non potrà modificare il testo dell’accordo, ma solo dire “sì” o “no”, come è ovvio che sia in un Trattato internazionale, ma la sufficienza con cui la Commissione Europea ha condotto il negoziato, non coinvolgendo adeguatamente il Parlamento Europeo, diventato pienamente “co-legislatore” col Trattato di Lisbona, suggerisce di non concedere, al momento l’assenso al Trattato stesso.
Ritengo anche che, in questo momento, oltre al necessario approfondimento di merito da compiere con le diverse espressioni della società civile europea e con le organizzazioni imprenditoriali e del mondo del lavoro coinvolte, sia necessario affermare il ruolo centrale che deve avere, in queste questioni, l’unica Istituzione comunitaria davvero fondata sul presupposto democratico: il Parlamento Europeo!
Le altre Istituzioni, se vogliono far contare davvero di più “politicamente” l’Europa, devono rendersi conto che, dopo Lisbona, il “mandato” a negoziare non può non avere, al di là della lettera dei trattati, un fondamento democraticamente definito e condiviso al più alto livello della rappresentatività democratica europea, cosa che, nonostante i ripetuti tentativi, non è avvenuta.
Ritengo anche che in questa fase si debba ricorrere alla Corte di Giustizia per capire se il testo concordato non violi i principi fondamentali dell’Unione Europea, anche se un simile ricorso bloccherà per almeno due anni l’iter di approvazione.
Infine, credo, che occorra al più presto ridefinire, con una risoluzione ad hoc, la posizione del Parlamento Europeo sia sulle modalità di una più incisiva lotta alla contraffazione sia per una più equilibrata disciplina dell’accesso alla rete, che non criminalizzi l’utilizzatore finale delle informazioni e rispetti il diritto alla proprietà intellettuale.
Il fine di tutto ciò è chiaro: ripetere quanto avvenuto con SWIFT!
Costringere, cioè, i nostri partner (là c’erano solo gli USA, qua sono 10 Paesi, alcuni dei quali però avranno non pochi problemi a fare ratificare ACTA dai rispettivi Parlamenti) a cambiare il Trattato e a renderlo compatibile con i fondamentali diritti di libertà, senza abbassare la guardia nella lotta a fenomeni criminali che incidono sulla competitività europea in maniera significativa per i quali, comunque, possiamo intervenire autonomamente anche sul Codice doganale.
Se la Commissione Europea avesse ascoltato il Parlamento Europeo oggi non si troverebbe in un evidente imbarazzo nel difendere decisioni che, così come sono, non possono trovare il nostro consenso, se non altro, ripeto, per ragioni eminentemente istituzionali.
(*) Deputato Europeo indipendente nel gruppo S&D di cui é stato Vicepresidente fino al settembre 2010. Laureato in giurisprudenza; è avvocato abilitato al patrocinio avanti alle giurisdizioni superiori. Già Dirigente della Democrazia Cristiana piemontese negli anni ’70 e 80, è stato consigliere nazionale del Partito Popolare Italiano (1999). Presidente dell’Assemblea costituente della Margherita (2001); membro dell’esecutivo nazionale (2002-2005) e Segretario regionale del Piemonte (2007) di “Democrazia e libertà – La Margherita”. Fa parte del direttivo del Partito Democratico Europeo. Susta è stato Consigliere comunale (dal 1975), assessore e Sindaco di Biella (1992-2004) nonchè Presidente del Consiglio provinciale di Biella (2004-2005) e Vicepresidente della Giunta regionale del Piemonte. Vicepresidente dell’ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) dal 1999 al 2002, è stato membro della Conferenza Stato-Città e Autonomie locali (2000-2002). Già capo delegazione e Vicepresidente dell’ALDE nella scorsa legislatura, è stato eletto nel 2009 al Parlamento europeo nelle liste del Partito Democratico.
Febbraio 2012