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Da Adriano Cozzolino (*)
L’Europa, nel suo complesso politico e istituzionale, attraversa una fase di profonda e perdurante crisi – crisi che, se pur manifestandosi soltanto in questi ultimi anni con l’esplosione della grande bolla finanziaria, la quale ha avuto come causa congiunturale i mutui subprime statunitensi, affonda le sue radici in decenni di deregolamentazione finanziaria ed economica e in un modello di sviluppo neo-liberista che ha prodotto gli squilibri sociali, lavoristici, economici, ambientali e finanziari ai quali assistiamo oggi.
I costi della crisi, in termini di perdita di posti di lavoro, precarietà diffuse e progressivo degrado delle condizioni di lavoro, testimoniano fedelmente che il modello sociale europeo ha fallito il suo principale obiettivo di integrazione sociale e sviluppo sostenibile.
Infatti, il principale elemento che, dagli anni ‘80 del Novecento ad oggi, è stato progressivamente eroso se non cancellato del tutto è quel welfare state, frutto del periodo compreso dalla fine della seconda guerra mondiale agli inizi degli anni ’70, che gli economisti definiscono i “trent’anni gloriosi”. .0rutto di quel periodo, che va dalla fine della seconda guerra mondiale agli inizi degli anni ‘ipali partiti, siano di centro-s
Quello “stato sociale” che ritrova la sua essenza nella stessa matrice costituente del patto fondativo degli stati moderni e ritroviamo nelle attuali Costituzioni, è stato destituito di fondamento e ha ceduto il passo alle esigenze del principio di completa auto-regolamentazione del mercato.
In tal senso, dunque, bisogna sottolineare che, in seguito alla crisi finanziaria, Gli Stati, per soccorrere il sistema bancario globale – che, non dimentichiamo, è il principale colpevole della crisi che stiamo attraversando –, hanno dirottato fondi pubblici, altrimenti destinati alle spese sociali, nel circuito bancario per infondere, attraverso più liquidità, nuova fiducia.
A ciò si aggiunga la teorica neo-liberista che postula il pareggio di bilancio da inserire nelle Costituzioni, maggiore facilità nei licenziamenti, la privatizzazione di beni e servizi pubblici.
Un esimio sociologo italiano, Luciano Gallino, ha recentemente scritto che “dopo una trentina di sviluppo, nei primi anni 2000 il capitalismo finanziario è giunto ad albergare in sé una serie di squilibri economici e sociali insostenibili” (1)
Eppure, i cittadini europei non si rassegnano ad una governance finanziaria che destituisce la politica del suo valore costituente e progressista.
In tal senso, lo scorso 15 ottobre vi è stata una giornata “storica”.
”Storica” poiché i popoli d’Europa, nella stessa data, si sono sollevati per denunciare con una sola voce l’insostenibilità degli attuali squilibri economici, per sottolineare che il 99% dei cittadini del mondo subisce i costi di una crisi provocata da un misero 1% che, quella crisi, ha concorso a provocarla; vi è stata, insomma, lo scorso 15 ottobre, una diffusa opposizione sociale europea che, peraltro, nei prossimi anni è destinata a diventare più forte e, come nei momenti di forti spaccature sociali, è tenuta a farsi portavoce di un nuovo processo costituente che ponga al centro l’individuo, i beni comuni e un’economia del ben/essere diffuso, per dirla con Amartia Sen.
Va sottolineato, ancora, che esiste una classe “pericolosa” di giovani precari europei, costituitasi in seguito alle politiche di flessibilizzazione del lavoro e della diffusione del modello “precario”, ossia del lavoro a tempo determinato, che, innanzitutto, difficilmente trova una rappresentazione nei principali partiti, siano di centro-sinistra o centro-destra, e che, in secondo luogo, avverte, forse più di altre, la necessità di un salto in avanti e di un cambiamento radicale del modello di sviluppo.
L’Europa, in questo senso, è la prima entità politica che deve essere cambiata: fare si che le istituzioni, spesso sottratte al controllo popolare, guadagnino quote di democrazia è una priorità assoluta, così come deve essere chiaro ai più che, se si gioca una fondamentale battaglia politica per una piena democrazia sostanziale e formale, questa non può essere efficacemente portata avanti se la prospettiva è quella dello stato nazionale.
Un’Europa federale, dotata di istituzioni fortemente rappresentative e sottoposte al controllo dei cittadini,
Se, di fatto, l’economia globale è assolutamente sopranazionale, così come la governance di alcune istituzioni come la BCE, allora la risposta che i progressisti europei devono dare consiste nel portate al livello sopranazionale la battaglia per un profondo rinnovamento sociale ed economico.
La politica, la cui parola resta, ormai da decenni, sospesa e in perenne attesa delle necessità/decisioni etero-determinate dell’economico – e, segnatamente, del finanzcapitalismo (cioè del capitalismo finanziario) -, deve riprendere la sua voce e porre fine al perenne stato d’emergenza che attraversiamo.
Da oggi, e negli anni avvenire, tocca alle giovani generazioni europee ridare alla Politica la sua forza costituente.
(1) Finanzcapitalismo, Torino, Eiunaudi, 2010, p. 82
(*) Dottore in Giurisprudenza con specializzazione in Storia del Diritto Penale, svolge la pratica di Avvocato nelle materie della tutela internazionale dei diritti umani e del diritto penale. Attivista politico partecipa a vari laboratori nell’ambito universitario ed è membro del Movimento Federalista Europeo.
Febbraio 2012